
Le zie per me sono prima di tutto quelle acquisite: amiche e amici dei miei che hanno fatto parte della vita di famiglia per periodi più o meno lunghi. Ci sono anche zii di sangue a cui ero affezionata da bambina, ma crescendo il rapporto si è ridotto a interazioni piuttosto formali. Quando i miei hanno divorziato ero piccola e per un periodo mia madre si è appoggiata forse anche più del solito a questa rete di amiche e amici, che sono state quindi importanti per entrambe.
In questo paesaggio ziesco la figura più stabile per me era Pina, nonostante si sia sempre rifiutata di farsi chiamare zia da me e mia sorella. Forse perché veniva da una famiglia tradizionale e cattolica, nella quale aveva già numerosi nipoti e pronipoti. A casa nostra si sentiva più libera, e forse per questo forse respingeva un titolo che sentiva come formale, mentre accettava con pazienza tutti gli altri nomignoli che le affibbiavamo. Amica di mia madre dai tempi della scuola – ma non interessata a nessuna delle attività politiche di mamma e delle sue amiche negli anni Settanta se non per spirito di partecipazione o di provocazione – da allora Pina era diventata una improbabile quanto insostituibile colonna della vita familiare.
Prendeva seriamente il compito di farci divertire, specializzandosi in modelli consumistici e diseducativi tra negozi di giocattoli, parchi giochi, film di Bud Spencer e partite di calcio. Con la sua cinquecento grigio topo – con cui si divertiva a superare gli autobus sul Corso a Napoli – mi portava all’asilo o dai nonni, mediando tra la famiglia materna e paterna. Sempre disponibile per noi, anche quando noi non lo eravamo per lei, Pina aveva più piacere a regalare che a ricevere. Ai tempi non capivo bene perché, ma veniva definita ‘una signora’ da chiunque avesse modo di andare oltre i capelli arruffati, oltre l’immancabile polo stropicciata e i jeans maschili che rivestivano la sua piccola e tonda figura. Quando si trasferì al Nord per lavoro, come impiegata alla dogana, fu un grande dispiacere. Ma tornava spesso a casa, e andavamo anche noi a trovarla ogni tanto, prima a Pavia e poi a Milano, cercando di farle scoprire i piaceri del Nord, ai quali lei rimaneva ostinatamente cieca. Riuscì infine ad avere un trasferimento a Napoli, ma solo dopo una ventina d’anni, e rimase forse delusa da questo ritorno; se ne andò prima che potessimo ringraziarla abbastanza.
Altre amiche di famiglia sono state importanti, per quanto non stazionassero fisse sul nostro divano come Pina; condividevano con noi camminate, vacanze e altro. Anche amici maschi di mamma, con la loro presenza discreta ma affettuosa, sono rimasti negli anni presenze ben più stabili dei parenti di sangue; hanno seguito l’evoluzione della famiglia in vari paesi, e da quando ho avuto un figlio sono diventati entusiasti prozii. Altre sono state meno costanti, eppure tutte hanno lasciato qualcosa, se non altro una varietà di modelli di vita: chi con figli e chi senza, chi sciatta e chi pereta o vanitosa, chi promotrice di viaggi e letture e chi del disimpegno. (girevole)

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