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Recensione di “Muoviamo le montagne”

Recensione di Muoviamo le montagne
di Charlotte Perkins Gilman

Le plurali editrice
Traduzione di Beatrice Gnassi

Come un sogno, troppo irreale per essere vero. È uno dei modi in cui John, la voce narrante di Muoviamo le montagne, descrive il mondo utopico in cui si trova dopo trenta anni di distanza dalla madrepatria, trovandola profondamente rivoluzionata. Il protagonista, voce maschile a cui è dato il compito di raccontare questo nuovo mondo guidato da un ‘risveglio’ delle donne, inizia il suo viaggio di iniziazione partendo da una prospettiva fortemente scettica, che dà corpo a tutti i possibili pregiudizi maschili e conservatori (alcuni ancora molto attuali), e lo finisce parzialmente illuminato di riflesso, ma non completamente pronto ad abbracciarne tutti gli aspetti. Una posizione che in fondo ci si sente di condividere alla fine del romanzo, divise tra fascinazione e scetticismo, per effetto di una combinazione tra limiti endogeni e esogeni del romanzo.  

Per cominciare è fondamentale il posizionamento storico del libro: pubblicato per la prima volta (a puntate) nel 1911 e dimenticato per decenni, è stato poi riscoperto negli anni Settanta nel mondo anglosassone, e solo ora tradotto in italiano dalla neo-nata casa editrice Le plurali. L’autrice è quella che nella prefazione Eleonora Federici definisce una femminista vittoriana, ma si spinge oltre i limiti della categoria. Capace di uno slancio visionario che unisce felicemente la ritrovata libertà e centralità delle donne a un post-socialismo partecipato, egualitario ed ecologista, in cui la povertà è solo un ricordo, tutti lavorano dalle due alle quattro ore al giorno coltivando nel restante tempo interessi e relazioni, la maternità e la cura del quotidiano non schiacciano le aspirazioni di nessuna, e le città e le campagne sono pulite, felici e produttive. La barriera respingente di questo mondo idilliaco è però la sua incapacità – come per molte visioni femministe del suo e del nostro tempo – di includere donne e uomini di altre nazioni, etnie e culture. Gli stranieri che vogliono partecipare agli Stati Uniti riformati di Perkins Gilman devono infatti sottoporsi a una rigida selezione fisica e comportamentale, e anche tra gli autoctoni non a tutti è permesso avere figli, nello spirito di una ri-produzione della nazione che non maschera simpatie per le teorie eugenetiche che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del novecento raccoglievano simpatie anche tra molte socialiste progressiste.     

Il cambiamento più grande generale che ha permesso una rivoluzione totale nell’arco di una generazione è quello nella relazione tra i ruoli di genere, come spiega a John suo cognato in uno dei loro scambi. “Ora le donne sono cittadine intelligenti, competenti, ben istruite, in tutto pari a noi in ogni ambito lavorativo, sono con noi ovunque. Il mondo si è trasformato!”. “È diventato ‘femminista’ in tutto e per tutto, suppongo!”, ho borbottato. “Neanche un po’! Prima era ‘maschilista’, in tutto e per tutto: ora è solo umano” (p. 90). Come sia stato possibile questo cambiamento, avvenuto ‘nel modo di pensare’, dopo che ‘le donne si sono risvegliate’, come continuano a ripetere tutti i personaggi del libro, è qualcosa che continua a sfuggire allo scettico ma volenteroso John fino all’ultima pagina. È una vaghezza voluta? Una provocazione e un invito, anche per noi che siamo venute molto dopo, a esplorare e sfidare concretamente i limiti della realtà attuale? 

Le immagini che restano di più più marcanti sono quelle legate all’organizzazione del quotidiano, in cui Perkins Gilman riesce a farci intravedere con esempi dettagliati scorci di una nuova organizzazione cooperativa e paritaria che ha trovato un equilibrio armonico tra la dimensione sociale – dalla dimensione micro delle unità abitative macro dell’organizzazione della cura dell’infanzia, di salute e trasporti – e lo sviluppo personale, dando a tutti la possibilità di elevarsi e di perseguire i propri interessi nell’abbondante tempo libero e grazie al benessere distribuito. Uno degli aspetti di organizzazione centralizzata più esemplari è quello del cibo. Oltre ad applicare stretti controlli sulla qualità degli alimenti dalla produzione alla vendita, il sistema del Nuovo Cibo prevede anche la distribuzione di pasti freschissimi, salutari e convenienti casa per casa, tramite una comoda rete di tunnel sotterranei, che solleva donne e uomini dalla preparazione quotidiana dei pasti. Tutto viene preparato da professionisti qualificati e ben pagati, con un’ottimizzazione di risorse e riduzione di rifiuti, a differenza di come è accaduto cento anni dopo nel rovesciamento capitalista di questa idea con Uber Eats, riders e hamburgers a domicilio. Mentre cento e dieci anni dopo siamo ancora a dibattere della possibilità di una settimana corta lavorativa di trenta ore, e periodicamente le statistiche riscoprono come il lavoro domestico e di cura nelle famiglie sia fatto prevalentemente dalle donne a discapito di interessi e ambizioni, di crescita personale e professionale. 

Leggere Muoviamo le montagne ora significa ricordare l’importanza di questi obiettivi apparentemente futuristici ma secondo Perkins Gilman ottenibili in una generazione, una volta avvenuto un fondamentale cambio di prospettiva sul mondo – ma anche l’importanza di fonderli, stavolta, con un approccio intersezionale. Come riassumeva una importante portavoce di questa prospettiva, “As long as women are using class or race power to dominate other women, feminist sisterhood cannot be fully realized” (bell hooks, Feminism Is for Everybody: Passionate Politics).D’altra parte sisterhood, sorellanza, è un’espressione spesso presa alla leggera, come accessorio da salotto o elemento puramente spirituale, quando dovrebbe essere intesa come suggerisce Perkins Gilman come infrastruttura, economia, produzione e costruzione di una società felice e sostenibile. Questo aspetto macro rimane nel libro trattegiato e sfuggente – la transizione da un sistema all’altro, la convenienza economica oltre che sociale del nuovo sistema. Certo non tutto si può fare con un libro solo, ma nonostante i limiti della sua visione Perkins Gilman ci lascia con delle potenti suggestioni, alcune più limpide e altre più ombrose o sfumate, come accade con molti sogni.

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