
Zio Pierpaolo era pittore, insegnante di educazione artistica alle scuole medie, omosessuale; plurisfrattato da varie case dell’area Flegrea, tra Napoli e Pozzuoli, tutte piene di gatti e di piante. È stato il gigante buono della mia infanzia, un omone dagli occhi azzurri di una bellezza particolare che amavo tantissimo. Credo sia stato il migliore amico sia di mia madre che di mio padre.
Mia madre veniva da una famiglia piccoloborghese di provincia intrisa di cattolicesimo, da cui si era allontanata presto e non senza sofferenza, attraverso scelte personali e politiche che erano culminate nell’unione con mio padre. Quando i miei si sposarono con un breve rito civile, il fatto che non ci fosse nessun abito da sposa né acqua battesimale a benedire la venuta al mondo di noi figli fu la definitiva pietra dello scandalo
In realtà, io sono stata battezzata: con una pompa d’acqua da giardino. Secondo la leggenda, mia madre era distesa in sedia a sdraio, serena con me sonnecchiante in grembo mentre Pierpaolo era in piedi, la sigaretta in una mano, l’annaffiatoio nell’altra, preso dalle sue battute divertenti per gli amici; a un certo punto si è distratto e ha fatto il bagno a me e a mia madre. “Pierpaolo, la bambina!”, è intervenuto qualcuno. “Un altro fiore del mio giardino”, ha riso lui, “la chiamerò Aprilia”.
In questa evidente scissione tra famiglia d’origine e famiglia ricostruita dai miei con i loro amici (antesignana dimensione à la Özpetek), non ho avuto mai alcun dubbio che LA FAMIGLIA dovesse assomigliare al secondo tipo. La famiglia non conforme alla norma è sempre stata per me l’unica norma. Pierpaolo il suo principale interprete. Perché c’era anche a distanza. Spesso chiamava a casa e se mia madre era via non attaccava, ma restava per ore, senza mai annoiarci, a raccontarci storie: miti, leggende napoletane, pezzi di tragedie greche… dei veri e propri viaggi al telefono.
In tutte le infinite case che ha cambiato, la stanza più grande era sempre uno studio pieno di pennelli, cavalletti, tele e colori, ed era sempre aperto. Nei giochi dopo le cene e le chiacchiere dei grandi non ci lasciava vincere, perché “il gioco era una cosa seria”. Aveva un’infinità di VHS a cui potevo attingere a piene mani senza alcun limite da bollino rosso. Ho coltivato a casa sua la cinefilia all’origine dei film che amo e che vorrei fare.
È morto di cancro dopo una vita da fumatore. È entrato un giorno in ospedale per un banale controllo e ne è uscito che non c’era molto da fare.
Io a quel tempo ero ai primi anni di università e avevo un fidanzato tremendo, oppressivo e geloso. Nonostante la distanza e la malattia, zio Pierpaolo aveva capito che non stavo bene. Nell’ultima telefonata che abbiamo avuto lui riusciva a malapena a parlare, ma capì che continuavo a cercare con lui quel dialogo costruito per tutta l’infanzia. E mi disse “Aprilia, io ora non posso dirti tutto quello che vorrei, non ho la forza, ma tu pensaci bene piccere’ ”.
Dopo qualche tempo lasciai il mio ragazzo e partii, leggera, pronta a iniziare una nuova vita. (aprilia)

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